L'interessante volume di Federico Zeri affronta un tema particolarmente stimolante per chi desideri avere una visione del Paese e dei suoi abitanti attraverso una luce particolare, quella offerta dalle opere pittoriche.
L'argomento che l'Autore intende approfondire, infatti, è l'interpretazione e lo studio del patrimonio artistico, nel volgere dei secoli, quale elemento fondante dell'identità nazionale italiana.
Zeri ritiene, a ragione, che non si possa separare l'analisi dell'immagine pittorica dalla storia culturale, per quel continuum ideale che trasferisce nell'arte tutte le componenti di conoscenza e sensibilità proprie di ciascun artista.
L'Autore visita, dunque, un significativo percorso storico offrendo preziosi rimandi ad opere significative di artisti considerati "pietre miliari" dell'arte pittorica (corredato anche da una ricca sezione con illustrazioni delle principali opere richiamate). È indubbiamente avvincente scoprire come la raffigurazione grafica si sia evoluta adeguandosi ai modelli culturali caratterizzanti ciascuna epoca storica.
Attraverso una chiave di lettura non comune, il lettore è posto nella privilegiata condizione di osservare e di scoprire il paesaggio. Questo non è visto come naturale sfondo alla rappresentazione grafica posta in primo piano, ma, piuttosto, come storia e come scienza: la storia identificata nel patrimonio culturale e la scienza invece quale trasfigurazione della realtà visiva.
Capolavori di pittori quali Cimabue o Giotto, indicati come ultimi rappresentanti trecenteschi dell'arte della memoria - trasmessa dalle scuole di retorica del tardo Impero - sintetizzano in simboli qualsiasi rappresentazione, sia geografica che descrittiva, anche dopo l'avvio della nuova "rappresentazione tridimensionale".
Zeri, tuttavia, sottolinea come sia Filippo Brunelleschi (che fa della prospettiva una scienza) a segnare l'avvio della rappresentazione dell'Italia (anche se ancora limitata alla città di Firenze) e con essa "la riproduzione, su una superficie piana, della realtà oggettiva, aprendo la via alla resa dell'ambiente circostante secondo modalità immuni da simboli sociali e remore erudite e mnemoniche".
L'excursus dell'Autore prosegue lungo il periodo rinascimentale, con Masaccio, Paolo Uccello e Ghirlandaio, per sottolineare come intento comune dei talenti quattrocenteschi fosse quello di rappresentare la Toscana nei tratti naturalistici che la caratterizzano. Non mancano, tuttavia, ulteriori esempi di cultura quattrocentesca ad Urbino, presso la corte di Federico da Montefeltro, in Umbria, in Lombardia e a Milano in particolare, dove si costituisce una dicotomia nella cultura figurativa italiana. Da una lato tende ad affermarsi una percezione visiva in chiave naturalistica, dall'altro - secondo l'Autore - prende le mosse una concezione della "struttura politica in cui circola una linfa vagamente democratica, egualitaria". Per fare solo un nome, Leonardo, forse l'espressione più alta del primo Rinascimento, che riassume nei suoi dipinti milanesi proprio questi elementi, sottolineando anche un'apertura mentale e intellettuale nei confronti della condizione femminile, mai più raggiunta per molti secoli.
Zeri analizza successivamente le opere cinquecentesche (di Andrea Palladio, Paolo Veronese, Tiziano), nelle quali il paesaggio trova rappresentazione in formule immaginarie con forte carica evocativa o addirittura profetica; nonché i dipinti seicenteschi (di Michelangelo, Caravaggio, Annibale Carracci, Adamo Elsheimer e Pietro Paolo Rubens), nei quali le immagini di città e campagne sono mosse invece da interessi meramente descrittivi.
La tradizione del vedutismo e del paesaggismo - il cui rappresentante più famoso è forse il Canaletto - prosegue anche nel 1700 quale semplice guida mnemonica dei visitatori del Gran Tour, secondo formule a carattere prettamente fantastico. Nella prima parte del XIX secolo, la percezione dell'Italia, ad opera soprattutto di autori stranieri, prosegue come un repertorio di splendidi paesaggi, di usi e costumi curiosi ed arcaici, tutta rivolta ad una difficile ricerca della propria identità. Solo con l'avvento del naturalismo, dei macchiaioli (Fattori, Lega, Signorini, Cecioni), entra nella pittura la media e la piccola borghesia della società italiana che si rivolge - secondo l'Autore - "ad aspetti sinora emarginati o ignorati". A partire da questa epoca, la rappresentazione della realtà si evolve attraverso una serie di movimenti artistici che ripugnano una rappresentazione della realtà prossima, o meglio da confondersi, all'immagine fotografica.
A rendere sempre più difficile il percorso del naturalismo si trova, poi, la sua stessa collocazione storica, intrecciata alla crisi del positivismo e dell'agnosticismo religioso, comune alla gran parte della pittura occidentale.
Il nostro secolo, con la ricerca di immagini intellettuali, evocative ed interiori più che visive, conclude quel percorso ideale avviatosi tra la fine del Duecento e gli inizi del Trecento con la resa della realtà secondo la percezione dell'occhio a tre dimensioni e con il supporto della prospettiva.
L'essere italiano rappresenta, dunque, la summa di secoli di storia e cultura, stratificati sulla nostra essenza più intima e profonda e, comunque, parte integrante dell'io di ciascun individuo.
Tali considerazioni inducono l'ovvia, ma non meno importante chiosa che la tutela e la conservazione di un patrimonio artistico e culturale che non ha eguali nel mondo al fine di consegnarlo nelle condizioni migliori alle generazioni a venire, deve costituire l'impegno morale di ciascun italiano.
Ciò rappresenta, infatti, il segno della maturità di un Paese consapevole delle proprie radici, ma rivolto ineludibilmente verso il cammino futuro.
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